L’11 Gennaio 2009 ricorre il decimo anniversario della morte di Fabrizio De Andrè. Per l’occasione è stata lanciata l’idea di un tributo collettivo, su internet, «a siti unificati». Questo blog aderisce all’iniziativa, ricordando il grande cantautore a partire dalla sua straordinaria empatia con gli ultimi, con coloro che sono descritti e trattati come diversi. Fabrizio de Andrè è stato il poeta di puttane, ladri, assassini e assassinati, beoni, viados, stranieri e vittime dell’«odio e dell’ignoranza»: ed è morto mentre, in Italia, imperversava una «emergenza sicurezza», analoga a quella di oggi…
C’era un’altra «emergenza sicurezza», quando morì Fabrizio de Andrè. Era il Gennaio del 1999, dieci anni fa. A Milano, si erano verificati alcuni omicidi nel giro di pochi giorni: senza far caso alla logica nè alle statistiche (che parlavano, allora come oggi, di un decremento del numero di reati), i mass-media lanciarono l’allarme.
E parlarono subito non solo di emergenza criminalità, ma anche di emergenza immigrazione: benchè non vi fossero prove del coinvolgimento di stranieri nei fatti criminosi, e – anzi – nella maggior parte dei casi gli immigrati fossero vittime, e non colpevoli, di quegli omicidi (si veda il box illustrativo pubblicato su Repubblica il 10 Gennaio 1999). Si moltiplicarono, in quei giorni, i titoli ad effetto. Come quello di Repubblica del 14 Gennaio: «Ferito alla fermata del bus: “Sarà stato un albanese”». Da allora ad oggi, come si vede, il modo di fare informazione non è molto cambiato in Italia (se non per il fatto che oggi si direbbe “sarà stato un rumeno”…).
In quei giorni, per uno strano scherzo del destino, moriva Fabrizio de Andrè. E sugli stessi giornali che invocavano espulsioni, pene più severe e tolleranza zero (arrivò proprio in quei giorni questa brutta espressione, importata dagli Stati Uniti), si potevano leggere – nelle pagine culturali – tributi commossi alla memoria del grande cantautore: che aveva rappresentato e messo in scena, nelle sue poesie, proprio le vittime del clima di emergenza agitato dai media…. «Il cantastorie anarchico», scriveva Alessandro Dal Lago in un memorabile articolo sul Manifesto, «poeta di puttane, ladri, assassini e assassinati, beoni, viados e vittime dell’odio e dell’ignoranza, accostato per puro capriccio del caso e schizofrenia dei media alla cagnara forcaiola della destra, al razzismo ripetitivo della Lega, alle bordate punitive dei procuratori».
Sono passati dieci anni. L’informazione non è cambiata, in Italia, e quei titoli si ripetono ogni giorno su quotidiani e telegiornali. Ci manca, invece, la voce e la poesia di Fabrizio De Andrè. Ci mancano le sue riflessioni…
… e le sue canzoni…
In ricordo di Fabrizio de Andrè, pubblico qui sotto il bellissimo articolo scritto allora da Alessandro Dal Lago. Che potrebbe esser pubblicato, così com’è, anche oggi: a dimostrazione di quanto l’Italia non sia cambiata. E di quanto poco abbiano imparato, giornalisti e politici, dalla lezione straordinaria di Fabrizio De Andrè.
Vi segnalo anche la mia personale playlist dei pezzi di Fabrizio de Andrè
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La forca e i poeti
Di Alessandro Dal Lago, in «Il Manifesto», 13 Gennaio 1999
Chissà cosa avrebbe detto Fabrizio de Andrè, se ieri avesse visto le prime pagine dei quotidiani…
Il cantastorie anarchico, poeta di puttane, ladri, assassini e assassinati, beoni, viados e vittime dell’«odio e dell’ignoranza», accostato per puro capriccio del caso e schizofrenia dei media alla cagnara forcaiola della destra, al razzismo ripetitivo della Lega, alle bordate punitive dei procuratori. |
E Lunedi sera, lo spettacolo grottesco: sui canali nazionali e locali, pubblici e privati, come se niente fosse, le poesie in musica di questo amico discreto sporcate da tutto il nero colloso di un’opinione apparentemente irresistibile. Ma sì, invochiamo l’esercito a Milano, inaspriamo le pene, scarichiamo le colpe di tutto sugli immigrati, chiamiamo accoglienza l’impresa di Via Corelli, lasciamo ai contrabbandieri il compito di bloccare gli scafisti. Un materiale immenso, e non solo da noi, per chi fosse capace di seguire l’esempio di De Andrè, rifiutare la melassa sonora e fare poesia vera di questo grottesco quotidiano.
Ma chi non è poeta si deve interrogare sul senso della nuova impennata reazionaria, l’ultima di una serie già vecchia. La trasformazione terziaria delle nostre città spinge avanti senza sosta i nuovi imprenditori della paura, rappresentanti di bottegai, localisti in cerca di consenso, pezzi di Stato che vogliono regolare i conti con una sinistra moderata e timidissima. E dietro di loro non solo maggioranze letteralmente silenziose, di cui nessuno riconosce più la composizione umana e sociale, ma intellettuali perbenisti, giornalisti sbrigativi e sensazionalisti, la merce comunicazione che vende di più quanto più gronda sangue, minaccia e stereotipi a effetto. |
Una zuppa in cui tutti siamo immersi, e contro cui non vale ricordare le ovvietà che un tempo avremmo chiamato di sinistra: che le pene non sono mai state un deterrente, che le carceri scoppiano, che una logica di investimento sociale, e non di mera repressione, farebbe infinitamente di più per l’immigrazione, che non guardie, campi e carceri, che l’esclusione non può che tradursi in devianza, che il razzismo generalizzato inquina la vita di tutti, e non solo offende gli stranieri. Che, soprattutto, questo oscuro senso comune andrebbe combattutto politicamente (anche se può essere difficile e forse controproducente oggi, ma sarà utile domani per fermare la strumentalizzazione delle destra).
Ma per logiche politiche complesse sembriamo disarmati. E questo perchè la paura non è combattuta là dove si produce e si traduce in grida – nell’incertezza del lavoro e del reddito, nella sensazione di solitudine palpabile tra chi non è garantito e protetto, nell’abbandono di periferie e quartieri.
Come potranno capire anziani, pensionati, lavoratori, piccoli negozianti e imprenditori che il loro nemico non è il marocchino, l’albanese, la nigeriana, il viado, e perfino lo spacciatore o il disperato, italiano o straniero, ma una generazione collettiva e implacabile della socialità, della democrazia reale, della ricchezza collettiva, che il liberismo, estremo o annacquato, ci sta procurando? |
Come far riprendere, tra giovani e cittadini, una speranza che non sia esclusivamente legata ai saldi di Gennaio? Come dire a chi ci governa che la politica di sinistra non può essere limitata alla gestione, grigia anche nel linguaggio, di un esistente unico, privo di conflitti e di immaginazione?
Alla fine la destra, che oggi si accanisce sull’osso a buon mercato dell’odio ritroverà anche il governo, perchè la cultura della paura, che è tipicamente sua, sembra accettata da tutti e ben pochi ne combattono i fondamenti. Altro che ’94 e manifestazione di Milano. Perchè molto di peggio è avvenuto da allora (ricordatevi dei 120 stranieri uccisi ogni anno e della Kater I Radesh e del cimitero mediterraneo).
E vorremmo domandare a tutti quelli che contano, e che oggi glossano timidamente le sparate della destra, che cosa avverrà se il buon senso democratico e un minimo di spirito libertario e di decenza viene abbandonato ai poeti che ci restano.
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