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lavavetri.jpgPuò sembrare paradossale, ma uno degli strumenti di inferiorizzazione e di degradazione simbolica dei migranti è l’evocazione indiscriminata del racket di cui sarebbero vittime. Si tratta, all’apparenza, di un discorso antirazzista, o comunque aperto e disponibile: “loro (i migranti) vengono in Italia spinti da organizzazioni criminali senza scrupoli, sono sfruttati dalle stesse organizzazioni e mandati sulla strada, a fare le prostitute (se donne) o i lavavetri (se uomini, e Rom), e dunque vanno aiutati”.
Intendiamoci: fenomeni come il racket, la tratta degli esseri umani, lo sfruttamento criminale dell’immigrazione esistono davvero. Sono cose serie e drammatiche. Qui non si tratta di negare questa realtà, ma di evidenziare come una loro evocazione disinvolta e indiscriminata a prescindere dai dati di fatto – possa diventare uno degli strumenti di inferiorizzazione degli stranieri: che diventano, così, non soggetti a pieno titolo che scelgono il proprio destino emigrando nel nostro paese, ma semplici vittime – inermi e indifese – dei loro sfruttatori. Da aiutare poi, possibilmente, facendoli tornare a casa loro (inevitabile corollario di discorsi di questo tipo…).
Questo discorso è emerso in particolare l’Estate scorsa, a proposito del delirante dibattito sui lavavetri sviluppatosi a seguito delle note ordinanze fiorentine. Qualcuno, nel tentativo tanto generoso (nelle intenzioni) quanto disastroso (negli esiti) di fermare il delirio securitario, ha tirato fuori la storiella facile facile: la colpa non è dei Rom che lavano il vetro, ma delle organizzazioni criminali che li costringono a farlo. Dunque, chi va punito è lo sfruttatore, e non la vittima. Ma è proprio così? I Rom che troviamo ai semafori a chiedere un po’ di elemosina stanno lì perchè qualcuno li sfrutta? (altro…)

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