La Rete Nazionale Antirazzista era un cartello di associazioni di volontariato, organizzazioni sindacali e gruppi locali, attivo nella seconda metà degli anni ’90. Ha svolto un ruolo fondamentale in quel periodo, perchè ha dato – per la prima volta in Italia – voce e rappresentanza politica a una miriade di piccole e significative esperienze locali. Ha formato un’intera generazione di militanti, volontari e studiosi dell’antirazzismo, costruendo un linguaggio comune tra persone e gruppi che operavano in territori diversi. Eppure, quella esperienza è stata sostanzialmente dimenticata. Moreno Biagioni, in questo articolo pubblicato sulla rivista “Guerre e Pace”, ne ha scritto una breve storia. Eccola.
Spesso pezzi di storia, o, più modestamente, di cronaca (di quella cronaca che dovrebbe servire a ricostruire la storia) del nostro recente passato vengono completamente ignorati o rimossi. Si tratta, in genere, di pezzi ritenuti privi di importanza, perchè non hanno protagonisti famosi o magari escono dai consueti schemi in cui vengono racchiusi gli avvenimenti politici e sociali. L’esperienza della Rete Nazionale Antirazzista (1995-1998) rientra appieno in questa categoria – della memoria “desaparecida” – e ritengo perciò che valga la pena di ricostruirla, seppure per sommi capi e con il rischio di qualche dimenticanza ed errore (a cui altri che furono partecipi di quelle vicende possono ovviare). Ne possono nascere riflessioni utili anche per l’oggi.
Insieme alle persone citate nell’articolo ve ne sono molte altre che non ho potuto e/o saputo nominare. L’esperienza della Rete fu possibile perchè tutte contribuirono a realizzarla.
L’esigenza di un coordinamento e la nascita della Rete
Fu alla fine del 1994 che cominciarono a crearsi le premesse per la costituzione della Rete Nazionale Antirazzista. Esponenti di associazioni nazionali e di realtà locali che, a partire dalla grande manifestazione romana seguita all’assassinio di Jerry Masslo e della successiva Convenzione Antirazzista tenutasi a Firenze nel Dicembre 1989, erano impegnati per i diritti dei migranti avvertivano infatti l’esigenza di spazi che permettessero di incontrarsi e confrontarsi, di obiettivi unificanti che dessero maggior vigore anche alle azioni e alle vertenze particolari, di un coordinamento di livello generale che avesse continuità nel tempo.
La riunione che dette avvio al vero e proprio processo costitutivo della Rete si svolse a Pisa nei primi mesi del 1995, ma la Rete ebbe il suo battesimo a Napoli – nella Napoli del Sindaco Bassolino – nell’autunno dello stesso anno, quando dopo due giorni di confronto tra le varie realtà presenti si varò un documento base e una prima forma di coordinamento nazionale. Erano presenti rappresentanti di grandi organizzazioni come la CGIL e l’ARCI (per quest’ultima partecipava, tra gli altri, Tom Benetollo) e un vasto arco di esperienze sviluppatesi in ambito regionale, provinciale, cittadino in varie parti d’Italia.
Punti di forza della nascente Rete erano comunque le realtà toscane (in particolare Africa Insieme, di Pisa e della zona empolese, una delle prime associazioni formate da italiani e stranieri a impegnarsi sul terreno della rivendicazione dei diritti di cittadinanza degli immigrati, e il Coordinamento Antirazzista Fiorentino), quella composita romana (in cui avevano un ruolo preminente Dino Frisullo e Senza Confine), il Forum antirazzista della Campania (che raggruppava organismi sindacali, del volontariato laico e cattolico, dell’associazionismo), il movimento Città Aperta di Genova, l’associazione Naga di Milano, gruppi e reti locali di Ivrea, Bologna, Lecce, Modena, Palermo, Torino, Venezia. Davano il loro contributo, di analisi e di elaborazione, alla nascita della Rete docenti universitari quali Giuliano Campioni, insegnante di Storia della Filosofia in stretto contatto con il mondo dell’immigrazione e tra i fondatori di Africa Insieme, Luigi Perrone, sociologo delle migrazioni e coordinatore dell’Osservatorio provinciale sull’Immigrazione di Lecce, Enrico Pugliese, sociologo particolarmente impegnato in ricerche sul rapporto tra immigrati e mondo del lavoro, Anna Maria Rivera, antropologa autrice di importanti studi sul razzismo.
Clima ostile e immigrazione come problema di ordine pubblico
Si avvertiva il bisogno di dare più forza all’insieme delle iniziative, delle attività, delle lotte antirazziste e per i diritti dei migranti sparse sul territorio perchè stavano crescendo sempre di più, in tutto il paese, pratiche e pensieri ostili all’immigrazione, che trovavano una rappresentazione diretta e brutale nella politica della Lega Nord ma che incidevano poi, più in generale, sugli indirizzi di governo e sulle impostazioni degli stessi partiti di sinistra.
Nel corso del 1994-1995 si era continuato a registrare lo sviluppo di episodi di intolleranza e di violenza contro gli immigrati (vedi la cronologia, peraltro parziale, a cura di Paolo Andruccioli nel libro di Enrico Pugliese, Diario dell’Immigrazione, ed. Associate/Editrice Internazionale, 1997). Vi era stata sì una grande manifestazione antirazzista a Roma nel Febbraio 1995, con circa centomila partecipanti, ma gli atti governativi e parlamentari venivano ad essere sempre più influenzati dalla percezione diffusa della questione immigrazione come problema di ordine pubblico. In questa situazione, sulla base delle esperienze esistenti (tra cui va citata quella condotta in Toscana, a partire dal 1993, con il coinvolgimento di parte degli enti locali, che aveva prodotto la Carta di intenti degli amministratori e dell’associazionsimo toscani in tema di immigrazione), nonchè di analisi e ricerche che contrastavano sul piano teorico e scientifico le tendenze negative in atto, prendeva il via la Rete.
Non voleva essere assolutamente una ulteriore associazione e nemmeno una confederazione di gruppi e gruppetti. Perciò si dava un coordinamento “leggero”, composto più o meno dai rappresentanti di quelle realtà più attive citate in precedenza, che avrebbe tradotto in pratica le indicazioni operative scaturite dall’assemblea napoletana. Fra i suoi compiti l’organizzazione di occasioni di approfondimento su temi specifici, l’apertura di vertenze di carattere generale con le istituzioni di livello nazionale, la ricerca di rapporti con le forze politiche disponibili (sulla scia di un’esperienza precedente, Per un parlamento antirazzista, che aveva visto il lavoro congiunto di esponenti di associazioni e di alcuni parlamentari sensibili alle tematiche dell’immigrazione), la promozione di iniziative di lotta in collegamento, possibilmente, con organizzazioni come ARCI, CGIL ecc.).
Le iniziative della Rete
Un primo incontro fu organizzato dalla Rete nella primavera del 1996 a Firenze e a S. Miniato, con la collaborazione del Comune e della Provincia di Firenze, dei comuni dell’Empolese-Valdelsa e dell’ARCI Toscana. I temi da approfondire erano quelli della rappresentanza degli immigrati e del diritto di voto. Da qui prese avvio il percorso che portò successivamente a quella che risultò l’iniziativa più significativa della Rete, e cioè l’elaborazione di tre proposte di legge di iniziativa popolare su cui promuovere una raccolta di firme in tutto il paese (per il diritto di voto alle cittadine e ai cittadini immigrati; per il trasferimento di competenze dalle Questure agli enti locali in materia di soggiorno; per una nuova normativa sull’attribuzione della cittadinanza).
Nel frattempo però il quadro si andava complicando. Il Governo Prodi stava preparando una legge sull’immigrazione e le organizzazioni più grandi (il sindacato e l’ARCI, innanzitutto) erano piuttosto attendiste. Riguardo alle tre proposte di legge si sosteneva da più parti che non ne valeva la pena, in quanto il diritto di voto sarebbe stato uno dei punti del provvedimento legislativo in cantiere e per la cittadinanza si sarebbe provveduto in un secondo tempo. Sul trasferimento di competenze, poi, lo si riteneva inopportuno perchè si temeva che crescessero i poteri dei Sindaci leghisti, ostili agli immigrati, e si preferiva affidarsi in proposito a un ministro dalla loro parte, Giorgio Napolitano (allora, appunto, Ministro degli Interni).
Il confronto dentro la Rete, sviluppatosi in ulteriori appuntamenti assembleari romani, approdò comunque alla conclusione che, visto il clima nel paese, le proposte di legge individuate – nel frattempo in corso di stesura con il concorso di giuristi – erano estremamente necessarie. Con la raccolta di firme si sarebbe potuto portare la discussione fra i non addetti ai lavori, sul territorio, nei circoli associativi, mettendo in campo una visione dell’immigrazione e dei migranti diversa da quella prevalente nel senso comune, alimentata dai media e dai politici imprenditori del razzismo.
Per essere maggiormente operativa la Rete si era data anche dei portavoce: Udo Enwereuzor (di Africa Insieme, che sarebbe stato poi sostituito da Andrea Morniroli, impegnato nel movimento antirazzista di Napoli), Dino Frisullo, Anna Maria Rivera.
La raccolta delle firme sulle tre proposte di legge
Nel 1997 si aprì la campagna per la raccolta di firme sulle tre proposte di legge. Per riuscire a portarle in Parlamento avremmo dovuto raccoglierne 50.000 nell’arco di tre mesi. La defezione delle grandi organizzazioni, ARCI e CGIL, il mancato impegno di Rifondazione Comunista, che pure era nel cartello promotore, forse la scarsa convinzione di una parte della Rete stessa non permisero che si raggiungesse l’obiettivo (si arrivò a malapena alle 20.000 firme). Le risposte positive vennero solo da alcune zone, per esempio, quella dell’empolese, dove si raccolsero in poco tempo circa 1.500 firme, in un territorio con poco più di 50.000 abitanti. Tutto ciò, indubbiamente, costituì un brutto colpo per la Rete, ma non fu quello decisivo ai fini della sua scomparsa.
L’uscita del disegno di legge governativo sull’immigrazione -primi firmatari Livia Turco e Giorgio Napolitano – portò a ulteriori spaccature nel movimento per i diritti dei migranti. Nelle associazioni più forti e nel sindacato prevalse l’orientamento che comunque bisognava essere benevoli verso il Governo “amico”: il disegno di legge veniva giudicato positivamente, pur se conteneva dei punti discutibili. La Rete, in continuità con la sua caratteristica principale di unire una forte radicalità a un’altrettanto forte spinta unitaria, concentrò l’attenzione degli aspetti del ddl decisamente negativi e su cui i suoi giudizi concordavano con quelli dell’ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) e di Magistratura Democratica, in primo luogo i procedimenti di espulsione e i Centri di Permanenza Temporanea (CPT) – che avrebbero aperto la strada alle aberrazioni della Bossi-Fini – a cui si unì, nel corso del dibattito in aula, l’estrapolazione della parte sul diritto di voto: di fronte a chi valutava “comunque buona la legge, benchè…”, si riteneva invece che “sarebbe stata una legge buona se…” avesse modificato profondamente le parti basate sulla riduzione dell’immigrazione a problema di ordine pubblico.
L’esaurirsi dell’esperienza
Si apriva così la fase finale, in cui si tentava di riprendere l’iniziativa (oltre che sulla Turco-Napolitano, sulle linee di indirizzo europeo riguardo ai migranti e sulla questione dei Rom e dei Sinti, per il superamento dei cosiddetti “campi nomadi”). L’ultima assemblea (l’ultimo tentativo di rivitalizzare la Rete) fu organizzata nel 1998 – mentre Frisullo era nelle prigioni turche) nel profondo Nord leghista, a Varese, in collaborazione con un’associazione di “resistenti” locali al leghismo dilagante. Poi pian piano l’attività si spense e l’esperienza fu dimenticata (anche se oggi qualcuno dice “ci sarebbe bisogno di rimettere in piedi la Rete”).
Con le sue ombre e le sue luci, ebbe un carattere profetico: tanto che stanno per andare in discussione in Parlamento provvedimenti legislativi che riprendono due delle tre proposte di legge della rete, il diritto di voto e la cittadinanza; la terza, quella sul trasferimento di competenze, è comunque tra gli obiettivi contenuti nel programma dell’Unione.
Moreno Biagioni, in Guerre e Pace, rivista diretta da Walter Peruzzi, n. 139, 2007
(pubblicato con il titolo Un’esperienza significativa. La ricostruzione dell’esperienza, oggi dimenticata della Rete Nazionale Antirazzista)
E’ fondamentale creare una rete di interesse reale nei confronti dell’altrui destino. Questa è la via da seguire. Occorre reimparare ad interessarsi del prossimo, partecipare del dolore e della sofferenza altrui.
forse non sara il posto giusto da cercare un consiglio,oppure un aiuto,perche mi è sucesso da pochi giorni una dimostrazione di pregiudizio,sono un ragazzo brasiliano in piena regola da 9 anni in italia…lavoro nel setore dei bar e discoteche…da sempre,d’estate a milano marittima dove mi conoscono tutti e di inverno in diversi luoghi …in italia lavaro staggionale è così ,questo inverno 08/09 sono a madonna di campiglio dove ho iniziato in uno dei pochi locali da queste parte,scorza settimana mi sono arrivati 4carabinieri dentro il locale mentre lavoravo e mi anno chiesto l’indentificazione ,poi subito mi hanno detto che dovevano fre un controllo casa mia perche ,forse erano siccuri che avevo materiale vietato per legge(fuochi d’artificcio)tutto questo davanti ai clienti del locale mi anno fatto abbandonare il lavoro per portargli a casa,non mi hanno fatto chiamare nessuno…e sono intervenutti senza nessun tipo di documento scritto che avevano per fare controllo a casa…ariviamo a casa non trovano niente,sapevano mio nome completo…mi hanno detto che c’e stata una chiamata anonima….che dicevano che era stato io a fare i fuochi d’artificcio nella scorza notte e pensavano di trovare tanti fuochi a casa mia…non trovando niente a casa hanno controlato anche la mia macchina…poi mi portano in caserma …facendo la strada del pieno centro della città…che era piena “madonna di campiglio”…doppo gli accertamenti scritti ,mi hanno riportato al lavoro dove ho ripreso ma ovviamente com un sentimento di ingiustizia,contra la mia persona mancanza di rispetto per il mio lavoro danno dell mia imagine e etc…,quindi la lascio cosi secondo voi?perhe si è veramente stato qualcuno dire ch sono stato io fare i fuochi…non dovevo sapere il nome?ma i carabinieri non hanno controllo delle chiamate?possono invadere na caa senza mandato?se fosse stato io ero processato,invece adesso chi paga quello che hoo passato?non è simplice per un ragazzo brasiliano di COLORE,che lavoro da tanti anni in mezzo al publicco,esserev trattato davanti a miei clienti che doppo non capivano chi avevano d’avanti.HO 35 anni ,sposato con una italiana,a marzo nasce mio primo bambino…secondo voi meglio un pacco di panolino o cartoni di fuochi d’artifficio?potete aiutarmi?scusate gli erori di italiano ma,non lo mai studiato…Roberto de Oliveira