Nel Maggio scorso, il presunto rapimento di una bambina ad opera di una donna Rom a Ponticelli, vicino Napoli, aveva scatenato una delle più vergognose campagne razziste degli ultimi anni. Ora, un libro di Marco Imarisio, giornalista del Corriere della Sera, dimostra che quel rapimento era una bufala. E che dietro ai pogrom contro i Rom si nasconde l’ombra della camorra. Ecco cosa è successo.
Sono passati pochi mesi da quell’infausto 12 Maggio 2008. Allora, sui giornali di tutta Italia ha fatto capolino l’immagine della donna Rom rapitrice di bambini. I fatti sono noti. Siamo a Ponticelli, vicino Napoli: Flora Martinelli, giovane madre di 27 anni, si vede portar via – o almeno così racconta – la sua piccola, di appena sei mesi. Il padre di Flora fa appena in tempo a strappare la bimba dalle braccia della Rom rapitrice. Il campo nomadi di Ponticelli viene messo a ferro e fuoco da una folla inferocita, e in tutto il paese si scatena una vergognosa «caccia allo zingaro». Ora, a pochi mesi di distanza, il giornalista del Corriere Marco Imarisio torna su quella vicenda, in un libro che vale la pena di comprare e leggere.
Imarisio si sofferma anzitutto sul luogo dove sono accaduti i fatti: Rione De Gasperi, Ponticelli, Napoli. A prima vista, sembrerebbe trattarsi di «un alveare di case popolari risalenti ad epoche diverse, tutte comunicanti tra loro grazie a balconate comuni e posticce, dove vivono compresse duemila persone» [M. Imarisio, I giorni della vergogna, L’Ancora, Napoli-Roma 2008, pag. 106]. Un quartiere popolare, insomma: come popolare – e quindi spontanea – sembra la rabbia contro i Rom, i pogrom, le violenze, il fuoco contro il campo.
Ma – avverte il cronista – «l’aspetto apparentemente sgarrupato di Rione De Gasperi può ingannare». Perchè qui «le cose funzionano bene», le strade sono sorvegliate «in modo meticoloso», gli appartamenti vengono assegnati secondo criteri precisi. A governare questo spazio non è però lo nè lo Stato, nè il Comune, nè tantomeno la Polizia di cui non vi è traccia. Qui regna da sempre la camorra, il clan dei Sarno.
E quella dei moti popolari, dunque spontanei, è una «illusione ottica» a cui nemmeno gli inquirenti credono più. I fatti, raccontati dal cronista, sono ben diversi: «All’inizio di Maggio», spiega Imarisio, «su La Repubblica era uscito un articolo che raccontava come i Rom della zona pagassero il pizzo alla camorra, una sorta di tassa di soggiorno per vivere a Ponticelli» [Ibid., pag. 106]. I clan dominanti avevano dunque qualcosa da dimostrare, e da farsi perdonare. Ma non basta: i terreni dei campi nomadi dovevano essere liberi, servivano per un piano urbanistico di recupero su cui si attendeva un finanziamento pubblico di sette milioni di euro. Una storia già raccontata allora – anche su questo blog – da Giovanni Zoppoli e dal Comitato Spazio Pubblico di Napoli: ma che adesso, scritta nero su bianco da un giornalista del Corriere, è destinata ad avere eco maggiore.
Imarisio ricostruisce anche il rapimento. Partendo da un’affermazione lapidaria: «Il ratto della bambina di Ponticelli non è mai stato tale». Ci sono, infatti, troppe cose che non tornano, nel racconto di Flora Martinelli. Alcune, modestamente, le avevo segnalate a suo tempo in questo blog, prendendo spunto dai racconti dei telegiornali: ma ora il quadro, ricostruito dagli inquirenti, si fa più chiaro. Nel suo rapporto conclusivo consegnato all’autorità giudiziaria, la Polizia continua ad esprimere «fortissimi dubbi» sulla «verosimiglianza» di quanto accaduto. E allora vediamoli da vicino, questi dubbi.
Primo. «La bambina sequestrata è nipote di Ciro Martinelli detto “O’ Cardinale” [!!]. E’ lui che ha fermato con le maniere forti la giovane Rom giunta ormai sul ciglio della strada. L’uomo è un personaggio molto noto nel quartiere, un punto di riferimento. Difficile anche solo immaginare che qualcuno possa rubare a casa sua» [Ibid., pag. 115].
Secondo. La giovane donna Rom, secondo le ricostruzioni della Polizia, era nota alla famiglia di Flora Martinelli, conosceva bene quella casa, dove peraltro era già entrata in precedenza. Gli inquirenti ipotizzano addirittura che Flora sapesse della presenza della visitatrice, e che fosse andata a prenderle dei vestiti da regalarle [Ibid., pag. 115].
Terzo. Nel racconto di Flora, la ragazza Rom entra dalla porta principale e si introduce nel salotto di casa, mentre Flora è in un’altra stanza. Flora torna nel salone, trova la porta di casa socchiusa: la apre e vede la donna Rom, con la bambina in braccio, «alla fine del pianerottolo». Ma i conti non tornano, appunto: perchè il «pianerottolo» è lungo non più di due metri. Imarisio fa due conti: la madre esce dalla stanza in cui si trova, raggiunge il salone, dà un’occhiata, si accorge della porta socchiusa, si avvicina e apre la porta. Quanto tempo richiedono tutte queste operazioni? Una trentina di secondi, almeno. Per farsi trovare alla fine del pianerottolo dopo trenta secondi «la sequestratrice, che aveva buone ragioni per andare veloce, avrebbe dovuto invece camminare in modo esageratamente lento» [Ibid., pag. 116].
Quarto. La donna Rom tenta di fuggire, viene fermata dal nonno della bambina su una scala stretta dove non ci sono vie di fuga. L’uomo ha la corporatura massiccia, è robusto e alto: eppure, misteriosamente, si fa sfuggire la bambina, per riacciuffarla soltanto dopo, in strada.
Quinto. Dopo l’inseguimento, un testimone riferisce di aver chiesto al nonno se la zingara avesse cercato di rubare la bambina. E la risposta è stata «no, ma quando mai!». Alla Polizia riferirà di essersi sbagliato, di aver capito male la domanda.
I conti che non tornano sono troppi. E, per l’ennesima volta, la storia degli zingari che rapiscono i bambini finisce in una bolla di sapone.
Prima o poi , con questo clima, doveva succedere:
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=321521