Pubblico la terza (ed ultima) parte del dossier informativo sui centri di permanenza temporanea per migranti.
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Mobilitazioni, inchieste e denunce sulla realtà dei CPT non restano senza conseguenze: a partire dall’Estate 2005, l’istituto della detenzione/trattenimento amministrativo è oggetto di diffuse critiche, non più limitate all’associazionismo e ai movimenti, ma estese anche ad ambiti politici e istituzionali.
Il documento delle Regioni (2005)
Il 7 Giugno 2005, il Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, di Rifondazione Comunista, lancia in un articolo sul Manifesto una campagna contro i CPT, definiti piccole Guantanamo italiane. Vendola chiama a raccolta i Presidenti delle altre Regioni, quattordici dei quali – tutti del centro-sinistra – si ritrovano l’11 Luglio a Bari nel Forum Nazionale Mare Aperto. Nel documento conclusivo approvato dal Forum si chiede il superamento dei CPT e l’apertura di una nuova stagione riformatrice in materia di politiche migratorie.
Il documento suscita gli strali delle aree più moderate del centro-sinistra ancora all’opposizione. L’ex Ministro dell’Interno Giorgio Napolitano, padre della legge che per prima ha istituito i Centri di Permanenza Temporaea, continua a sostenere un approccio repressivo. In un’intervista pubblicata sul Corriere della Sera del 3 Luglio 2005, Napolitano difende la necessità dei CPT, pur criticandone la gestione da parte del nuovo Governo. «Non c’è alcuna alternativa a uno strumento del genere», spiega in modo perentorio il futuro Capo dello Stato, «tant’è che non c’è alcuna proposta, se non quella irresponsabile di chiuderli senza sostituirli con nulla».
Il programma dell’Unione e il “superamento” dei CPT (2005-2006)
All’interno del centro-sinistra, che nel frattempo sta preparando la campagna elettorale, prevalgono però le tesi di Vendola. La coalizione di forze politiche che si è data il nome di “Unione” – e che comprende sia forze “moderate” come DS e Margherita, sia partiti più “radicali” come Rifondazione Comunista o i Verdi – pubblica all’inizio del 2006 un articolato programma di Governo che, sulla questione dei CPT, recepisce sostanzialmente le indicazioni dei governatori regionali.
Il documento parte proprio dalla crisi delle politiche migratorie repressive, e si interroga sul loro fallimento: perché, nonostante l’inasprirsi delle norme in materia di ingresso e soggiorno, è aumentata la presenza clandestina nel nostro paese? Perché le espulsioni non hanno funzionato? Perché i CPT non sono riusciti ad allontanare i migranti “indesiderati”?
Ad alimentare la clandestinità – argomenta l’Unione – non sono state leggi “lassiste”, ma al contrario normative troppo rigide, che hanno reso impossibile l’ingresso e il soggiorno regolare. Una volta che tutti o quasi i migranti siano costretti alla clandestinità, la repressione perde efficacia: rimpatriare centinaia di migliaia di persone diventa impossibile, sia dal punto di vista economico che da quello logistico. L’Unione, dunque, non ha dubbi: è necessario «ridurre il fenomeno dell’irregolarità a dimensioni fisiologiche, quindi gestibili».
A questo scopo, bisognerà anzitutto prevedere meccanismi realistici di ingresso: per esempio attraverso un visto per ricerca di lavoro, che non obblighi gli aspiranti immigrati a munirsi di un contratto di lavoro o di uno sponsor prima della loro partenza. Sarà necessario poi alleggerire le procedure di rinnovo dei permessi, nonché consentire una qualche forma di regolarizzazione ai migranti clandestini già presenti in Italia, che lavorino al nero. Così ridotta numericamente, l’immigrazione irregolare potrà essere realmente contrastata. La Bossi-Fini, dicono i partiti del centro-sinistra, ha previsto un solo mezzo per il trattamento dell’irregolarità: quello dell’espulsione indifferenziata, uguale per tutti, con accompagnamento alla frontiera e divieto di reingresso per dieci anni. Per gli immigrati privi di documenti, dei quali non è possibile ricostruire l’identità e il paese di provenienza, la legge ha poi disposto il trattenimento nei CPT. È efficace questo insieme di strumenti? O non è troppo rigido, incapace di adattarsi al caso singolo?
Secondo le forze politiche del centro-sinistra, l’immigrato senza passaporto ha tutto l’interesse a non rivelare la sua identità: una volta che la polizia abbia individuato il suo paese di origine, infatti, potrà rispedirlo a casa, e per lui scatterà il divieto di reingresso per dieci anni. Il programma propone allora di differenziare il divieto di reingresso a seconda dei casi: più anni a chi non collabori alle procedure di identificazione, un tempo minore per chi rivela i propri dati anagrafici e il proprio paese di provenienza. In questo modo, i CPT non saranno più necessari: i pochi stranieri che decideranno di non collaborare alla loro espulsione potranno essere, eventualmente, oggetto di misure di sorveglianza disposte dal Magistrato. «L’adozione di queste norme», conclude il documento, «comporta il superamento dei Centri di Permanenza Temporanea».
La formula del “superamento” dei CPT – già utilizzata, come abbiamo visto, dai governatori delle Regioni – finirà per provocare polemiche ed interpretazioni contrastanti. Così, per esempio, secondo il responsabile per l’immigrazione dell’ARCI Filippo Miraglia, «il superamento di cui si parla è un superamento che verrà consentito da una riforma delle politiche sull’immigrazione in generale: considerato che oggi in Italia c’è un’immigrazione irregolare che non sceglie di esserlo, ma lo è perché la legge obbliga ad esserlo, modificando la legge ed eliminando quasi del tutto le cause dell’irregolarità, anche i provvedimenti di espulsione diminuirebbero moltissimo, e a quel punto si renderebbe meno difficile un cambio di decisione anche sui Cpt». Diversa è l’interpretazione di alcune aree dei movimenti antirazzisti, legate ai centri sociali o alle reti disobbedienti, secondo le quali la formula del superamento coprirebbe la scarsa volontà di chiudere i CPT. Così, secondo il Centro Sociale Laboratorio Zeta di Palermo (uno dei principali animatori della Rete Antirazzista Siciliana), la proposta di incentivare la collaborazione dei migranti alle procedure di identificazione sarebbe «pericolosa e paradossale», perchè «introdurrebbe una distinzione nel trattamento dei migranti, considerati “buoni” o “cattivi” sulla base della loro collaborazione alla propria espulsione: tutto ciò non equivale naturalmente alla chiusura dei C.P.T.».
Dal volume di Marco Rovelli al “Libro Bianco”: ancora denunce (2006)
Intanto proseguono le denunce e le inchieste sulle violazioni dei diritti umani nei centri di permanenza temporanea.
Nel Febbraio 2006, Amnesty International pubblica il dossier Invisibili, nel quale si denuncia la presenza, nei CPT italiani, di minori stranieri (che secondo le normative internazionali e la stessa legge italiana non possono essere espulsi nè trattenuti). Nel Giugno dello stesso anno, il giovane cantante Marco Rovelli pubblica per la BUR il libro Lager italiani. Introdotto da Erri De Luca, e commentato da una postfazione di Moni Ovadia, il volume narra, in forma di racconto, le storie – raccolte dalla viva voce dei protagonisti – di migranti che a causa della loro condizione di clandestinità si sono trovati a permanere, in condizioni di reclusione, all’interno dei CPT. Rovelli sostiene nel libro che questi centri sono definibili come lager – laddove il termine lager rimanda al concetto di “campo” inteso come spazio dove il diritto è sospeso, destinato a coloro che sono privati dei diritti derivanti dalla cittadinanza. Dalle storie raccontate risulta come il soggetto recluso venga spesso sottoposto a vere e proprie forme di tortura, psicologica e fisica, senza alcun controllo di legalità [questa sintesi è liberamente tratta da Wikipedia; su Lager italiani vedi anche la recensione del sito Peacereporter].
Nell’Estate 2006, il Comitato Diritti Umani, organismo composto da parlamentari ed esponenti della società civile, pubblica un Libro Bianco sui CPT in Italia, risultato di ripetute visite ai centri di permanenza temporanea ed ai centri di identificazione sparsi nel territorio italiano. Il Libro Bianco rileva, tra l’altro, la totale assenza di un effettivo controllo giurisdizionale sulla detenzione amministrativa (affidata all’ampia discrezionalità dei prefetti e delle autorità di polizia); la sistematica violazione delle leggi in materia di immigrazione da parte delle autorità; l’erosione del diritto di asilo; la chiusura dei CPTA al mondo esterno (stampa, organizzazioni umanitarie, amministratori locali, avvocati e persino rappresentanti delle Nazioni Unite); l’utilizzo dei CPT come un indebito prolungamento di detenzione ai fini del riconoscimento di stranieri che sono stati in carcere anche per diversi anni; la violazione dei più basilari principi di trasparenza della pubblica amministrazione nella gestione dei CPTA [vedi anche la conferenza stampa di presentazione del Libro Bianco].
Dall’insediamento del governo Prodi alla Commissione De Mistura (2006-2007)
Nel frattempo l’Unione di Centro-Sinistra, che nel suo programma propone il superamento dei CPT, vince le elezioni politiche del 9 e 10 Aprile 2006, e nel mese di Maggio insedia il nuovo governo guidato da Romano Prodi: i ministri competenti in materia di immigrazione sono Paolo Ferrero di Rifondazione Comunista (alla Solidarietà Sociale) e Giuliano Amato (agli Interni). Sin dalle prime settimane dopo l’insediamento del governo si registrano rilevanti dissensi tra i due ministri proprio sul tema dei CPT. Mentre Paolo Ferrero, sul Manifesto del 23 Maggio, ribadisce l’obiettivo del superamento, il suo collega Amato – in una intervista concessa a La Stampa nel mese di Agosto – si dichiara esplicitamente contrario a chiudere i centri, sulla base di un ragionamento che parte dalla necessità di limitare i flussi migratori: «Devo tenere conto», spiega l’inquilino del Viminale, «di una limitata capacità di assorbire l’immigrazione da parte della nostra società, una soglia che non posso superare per non provocare il demone della reazione negativa, che non a caso ha una sua rappresentanza politica. Devo stare attento a non scatenare la tigre». Poche righe dopo, il pensiero di Amato si fa più esplicito: «Ammetto che nella maggioranza c’è chi rivendica la chiusura dei Ctp. Ma confido nell’ampia possibilità di ragionare con questa posizione».
Per comporre il dissenso interno al Governo e alla maggioranza che lo sostiene, il Viminale decide di costituire una commissione di studio, a cui è conferito il compito di elaborare proposte sulle politiche relative ai CPT: della commissione, presieduta dall’ambasciatore ONU Staffan De Mistura, entrano a far parte funzionari ministeriali, ma anche esponenti della società civile e dell’associazionismo. Dopo alcuni mesi di lavoro, la Commissione presenta, il 31 Gennaio 2007, gli esiti della propria ricerca. Vale la pena soffermarvisi, anche perchè si tratta delle informazioni più recenti, tra quelle attualmente disponibili: la Commissione fornisce sia dati stastici sui centri visitati, sia considerazioni critiche sul loro funzionamento.
Cominciamo dai dati statistici. Al momento della rilevazione effettuata dalla Commissione (cioè tra la fine del 2006 e l’inizio del 2007), esistevano in Italia 14 centri di permanenza temporanea, con una capienza totale di 1.940 posti. Calcolando una rotazione di 60 giorni per ciascun “ospite”, il sistema dei CPT è in grado di accogliere nell’arco di un anno, 11.742 persone, a fronte di una presenza di stranieri irregolari in Italia che la commissione stima attorno alle 300.000 unità: «si crea quindi», spiega il rapporto, «una situazione paradossale, in cui a fronte di un certo numero di irregolari presente sul territorio ed un certo numero di posti disponibili nei CPT è la casualità a determinare i trattenimenti nonché i conseguenti accompagnamenti alla frontiera» [pag. 5].
Nel periodo 2005 – 2006, risultano tradotti nei vari cpt un totale di circa 25 mila stranieri, a circa 22 mila (88%) dei quali è stato convalidato il trattenimento dal giudice entro i termini di legge. Dei trattenuti, oltre 6 mila e 500 (30%) risultano già identificati all’ingresso: «il trattenimento», argomenta la commissione, «si spiega quindi con motivazioni di ordine organizzativo [reperimento del passaporto o del mezzo di trasporto] […] e non identificativo» [pag. 12].
Un dato interessante riguarda le nazionalità presenti nei CPT. I rumeni sono la nazionalità più rappresentata: il 31% dei trattenuti nei centri, quando i rumeni regolarmente soggiornanti in Italia sono il 12% degli stranieri [pag. 15]. Seguono i marocchini (12% di trattenuti nei CPT, contro il 10% delle presenze regolari); a distanza, nigeriani, palestinesi e tunisini (4% di trattenuti per ciascuna nazionalità), quindi i moldavi (2,9%) e gli iracheni (2,8%) [pag. 12]. Quanto ai motivi del trattenimento, la commissione rileva un’alta presenza di ex detenuti (17%), con tre CPT che superano il 45%: Lamezia Terme (58%), Gorizia (49%), Bologna (47%).
La ricerca della Commissione si sofferma anche sull’efficacia dei CPT, cioè sulla reale capacità di rimpatriare gli stranieri trattenuti: «emerge», si legge nel Rapporto De Mistura, «una situazione diversificata da Centro a Centro […]: per i 6 CPTA per i quali è stata possibile un’elaborazione, si passa complessivamente dal 52% di Modena al 73% di Ragusa. Degli altri 7 CPT, 2 non hanno fornito dati e 5 evidenziano incongruità tra parziali e totali». «In sostanza», conclude la commissione, «su ogni 10 trattenuti in media 6 vengono successivamente espulsi con accompagnamento alla frontiera, […] e in molti casi non si dà luogo all’espulsione perché non si riesce a procedere all’identificazione» [pag. 13].
Quanto ai rilievi critici, la commissione De Mistura trova, nei CPT visitati, numerose situazioni improprie, tra le quali il rapporto cita espressamente: la presenza di circa il 30% di cittadini stranieri che risultano già identificati all’atto dell’ingresso nel centro e nei cui confronti «il trattenimento risulta finalizzato al solo conseguimento dei titoli di viaggio [cioè del passaporto, ndr]»; la presenza rilevante di ex-regolari, persone il cui permesso di soggiorno non è stato più rinnovato, e che hanno alle spalle periodi anche molto lunghi (superiori al decennio) di presenza continuativa in Italia; la presenza di numerosi richiedenti asilo «che non avevano adeguato accesso a servizi di orientamento», nonché di donne vittime di tratta, malati e minori stranieri; la presenza cospicua di migranti che «non vengono comunque mai rimpatriati e per i quali il trattenimento risulta del tutto inutile e produce un circolo vizioso» [che vengono cioè liberati in Italia ma, essendo clandestini, finiscono nuovamente nei CPT]; la presenza rilevante di ex detenuti «nei cui confronti sarebbe stato possibile e necessario procedere all’accertamento dell’identità durante il periodo di esecuzione della pena» [pagg. 20-22].
Sulla base di queste considerazioni, la Commissione De Mistura formula alcune proposte finalizzate a “superare” i CPT «attraverso un processo di svuotamento di tutte le categorie di persone per le quali non c’è esigenza di trattenimento». Si tratta in particolare, secondo il rapporto, di escludere dai CPT i cittadini rumeni (entrati nell’Unione Europea e divenuti perciò inespellibili), gli ex-detenuti (che possono essere identificati durante il periodo di detenzione, in modo da evitare la “doppia pena” carcere+centro di permanenza), alcune categorie sociali deboli come i minori, le vittime di tratta o i richiedenti asilo, nonchè le colf e le assistenti familiari [le cosiddette badanti] e gli ex-regolari, per i quali e le quali si deve ipotizzare una vera e propria regolarizzazione. Inoltre, la Commissione propone, per ridurre il ricorso al trattenimento nei CPT, l’istituzione di una forma di rimpatrio concordato e assistito, cioè di un sistema finalizzato a «favorire il rientro in patria dello straniero irregolare in cambio di un sostegno economico per realizzare nel suo paese […] un suo progetto di vita» [pag. 27].
L’insieme di questi provvedimenti, sostiene la Commissione De Mistura, non consente tout court di chiudere i CPT, perchè resterà comunque una “categoria residuale” di immigrati irregolari per i quali sarà necessaria l’identificazione finalizzata al rimpatrio: ma tale categoria sarà, appunto, residuale, numericamente irrisoria e più facilmente gestibile.
Le proposte della Commissione suscitano, nel variegato mondo che negli anni si era opposto all’istituzione dei CPT, reazioni contrastanti. Così, da una parte l’ARCI esprime soddisfazione per aver visto raccolte molte delle sue proposte, l’ASGI (l’associazione di studi giuridici sull’immigrazione) formula un giudizio critico ma sostanzialmente positivo sul lavoro della “De Mistura”, mentre la responsabile immigrazione di Rifondazione Comunista Roberta Fantozzi invita a tradurre i “passi avanti” proposti dalla Commissione in atti normativi di riforma. Sull’altro versante, invece, il portale Melting Pot – uno dei più importanti strumenti di comunicazione e informazione sui fenomeni migratori – lamenta il bizantinismo della formula superamento dei CPT, e contesta la proposta finale della Commissione, che in sostanza – secondo la redazione del sito – propone di mantenere i CPT (sia pure per un numero ristretto di persone).
Dopo la De Mistura: dalla proposta di legge Amato-Ferrero alla restaurazione
Il 24 Aprile 2007, il Governo presenta alla stampa il disegno di legge Amato-Ferrero, che dovrebbe abrogare la Bossi-Fini sostituendola con una nuova normativa in materia di immigrazione [sulla Amato-Ferrero leggi anche: testo del disegno di legge; brochure informativa a cura del Ministero dell’Interno]. Il disegno di legge recepisce gran parte delle proposte della De Mistura, mentre alle Camere risultano depositati due disegni di legge – uno dei Comunisti Italiani e l’altro di Rifondazione Comunista – che perseguono in maniera ancor più decisa l’obiettivo del superamento dei CPT.
Intanto, però, cambia il clima culturale e politico nel paese. L’emergenza-sicurezza, agitata da stampa e televisioni a partire da Maggio 2007, modifica profondamente l’agenda politica di partiti e uomini di governo. La riforma delle politiche dell’immigrazione lascia il posto, man mano che passano i mesi, all’esigenza di misure sempre più repressive. Così, la questione del superamento dei CPT sembra tramontare, ed anzi nel decreto-sicurezza approvato il 1 Novembre 2007 si estende la misura del trattenimento persino ad alcune categorie di cittadini comunitari.
I dati della Relazione sulla criminalità in Italia (2007)
Gli ultimi dati disponibili sul funzionamento dei CPT provengono dalla Relazione sulla Criminalità in Italia, presentata dal Ministero dell’Interno il 20 Giugno 2007. Nella Relazione vengono pubblicati alcuni dati (che riporto nella tabella qui sotto) sul rendimento dei CPT, cioè sulla loro effettiva capacità di allontanare i migranti “indesiderati”. A fronte di un rendimento calante delle espulsioni in generale (dopo l’approvazione della Bossi-Fini la capacità di rimpatriare davvero gli stranieri colpiti da decreto di espulsione è minore di anno in anno), l’efficacia dello strumento specifico dei CPT mostra un andamento oscillante. Mentre ai tempi della legge Turco-Napolitano lo Stato riusciva a rimpatriare circa un terzo dei migranti trattenuti nei “centri”, con l’approvazione della Bossi-Fini gli espulsi salgono alla metà. La punta massima di efficacia viene raggiunta nel 2005, quando circa due terzi degli stranieri transitati nei CPT erano stati espulsi; nel 2006, però, il rendimento dei centri è tornato a scendere, con meno del 60% dei trattenuti allontanati.
Rendimento dei CPT
Fonte: Ministero dell’Interno, Rapporto sulla criminalità in Italia, 2007
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Anni | 2000 | 2001 | 2002 | 2003 | 2004 | 2005 | 2006 |
Transitati nei CPT | 9.768 | 14.993 | 17.469 | 13.863 | 16.465 | 16.055 | 12.842 |
Di cui espulsi | 3.134 | 4.437 | 6.372 | 7.021 | 8.939 | 11.081 | 7.350 |
% espulsi su transitati | 32,08% | 29,59% | 36,47% | 50,64% | 54,29% | 69,01% | 57,23% |
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